Il principe del palcoscenico per il principe dei vini dell’Alta Ciociaria, questa la sintesi della terza e ultima serata del Fuori Festival di Anagni dedicata al Cesanese DOCG che ha suscitato l’interesse anche del TG Lazio.
Glauco Mauri è una icona del teatro italiano e con i suoi 93 anni ha dominato il palcoscenico e ha rapito il pubblico come solo un grande attore può fare.
Lo avevo visto ancora da ragazza quando con gli amici avevamo l’abbonamento al Teatro Quirino di Roma (e se mi ricordo bene proprio in uno spettacolo di Shakespeare) e ci aveva colpito per il suo carisma che emanava dal suo piccolo corpo.
Glauco Mauri non ha mai avuto un fisico imponente ma gli anni lo hanno reso un usignolo, come il nome dello spettacolo di ieri sera “IL CANTO DELL’USIGNOLO” dove ha personalmente scelto i passi di Shakespeare e ha scritto i testi che guidavano lo spettatore fra le emozioni.
Ieri sera è entrato in scena sorretto dall’attore Marco Blanchi e ha recitato Shakespeare seduto su una poltroncina e accompagnato da Giovanni Zappalorto al pianoforte e da Marzio Audino alle percussioni e timpani. Nondimeno, la voce ancora robusta ci ha trasmesso tutte le emozioni dei testi che investigavano il senso dell’esistenza, quasi che fossimo tutti coinvolti nella sua stagione della vita.
E come per Shakespeare, anche per Glauco Mauri la vita è un palcoscenico sul quale si deve stare fino all’ultima scena. Proprio come il Jacques di ‘Come vi piace’ che riassume la vita di un uomo in 7 fasi, di cui l’ultima è la seconda infanzia in cui torniamo liberi di dire e fare quello che ci aggrada. E Glauco Mauri è libero!
La modernità dei testi è stata sconvolgente. Il nostro essere tutti attori che recitiamo a soggetto ad un certo punto mi ha ricordato jim Carrey del film Truman Show, e mi ha fatto sentire tutta la modernità di Shakespeare e la banalità delle nostre tribolazioni umane.
Una modernità ancora più marcata nella lettura del sonetto 66, un testo che riprende il monologo dell’Amleto ma che nell’ultimo verso spiega tutta la nostra vita: l’amore. È l’amore il significato primo e ultimo della nostra esistenza, il legame più forte e quello che ci guida nella nascita e nella morte.
Il sindaco Daniele Natalia e l’assessore Carlo Marino hanno donato a Glauco Mauri un premio speciale con una scultura di Donatella Gismondi.
Un amore che è uscito dal palcoscenico principale ed è entrato nella piazzetta antistante la Pro Loco dove alcuni artigiani avevano preparato un banchetto per far assaggiare al pubblico del Fuori Festival i loro prodotti realizzati con tanto amore.
Nelle interviste che potete seguire seguendo i social del Fuori Festival o il sito www.fuorifestivalanagni.it abbiamo sentito delle storie bellissime di persone che si sono messe in gioco per realizzare i loro sogni.
Antonello Coletti Conti, l’uomo che rappresenta la storia del Cesanese moderno e che ha trasformato un vino per turisti in un vino che è l’unica DOCG rossa del Lazio. Dopo di lui tanti altri imprenditori hanno iniziato a produrre Cesanese e a portarlo ad essere uno dei migliori rossi italiani. Eppure, doveva fare l’avvocato e quando ha ereditato l’azienda non sapeva nulla di enologia. Lo studio, la passione e anche l’amore per le sue radici di Anagni hanno fatto il resto.
La storia di Davide Rosi è totalmente diversa: lui è la prima generazione di pastori e ha raccontato che sin da bambino chiedeva a sua madre di comprare le statuine delle pecore e dei pastori per il presepe di Natale.
Oggi sono i suoi genitori che lo seguono e lui ha iniziato la tecnica dell’affinamento dei formaggi. Ne abbiamo degustati di pecora, capra e mucca. Impreziositi da noci, erbette e spezie, ma anche stagionati nella paglia e nelle bucce dell’uva cesanese. Il sorriso di Davide è stato contagioso.
I salumi e la porchetta sono arrivati da Marco Pellegrini di Patrica, la capitale della famosa salsiccia. Un Fuori Festival che si allarga all’Alta Ciociaria e che presenta tutte le eccellenze di questo splendido (e gustoso) territorio.
L’Olio che ha accompagnato le degustazioni di pane e farine locali è stato presentato da Carlo Gallozzi che con il suo progetto “Olio dei Papi” ci ha fatto degustare un prodotto unico.
La serata rossa si è chiusa con le ‘ciammellette’ al vino, ma soprattutto con il famoso panpepato o ‘panpapato’ di Anagni. Un dolce talmente caratteristico che Anagni gli ha dedicato un concorso (in cui sono orgogliosamente nella giuria grazie agli insegnamenti di mia suocera anagnina), e il suo organizzatore il consigliere Guglielmo Vecchi ci ha guidato all’abbinamento fra il panpepato e il vino Cesanese.
Forse perché il dolce di Anagni è realizzato proprio con il mosto di uve Cesanese, ma questa unione è una vera goduria per chi ha la fortuna di poterla assaggiare.
Se la storia del panpapato ci è stata raccontata da Tommaso Cecilia, che ci ha letto una poesia in dialetto, il dolce ce lo ha fatto assaggiare Mauna Alteri del ristorante Malacucina. Ci ha raccontato la sua storia ma anche l’amore per la sua Anagni “Sono una viaggiatrice senza muovermi grazie a tutte le persone che vengono a mangiare da noi. Arrivano da tutto il mondo per venire ad ammirare Anagni!”.
E non poteva mancare una intervista a Maurizio Imperia, l’artista orafo che ha creato il ciondolo con il giullare (che riprende il famoso manifesto del Festival che non è mai cambiato nel corso delle 30 edizioni) che viene donato agli attori al termine delle loro rappresentazioni teatrali. Un giovane artista che ha creato una linea di gioielli sui simboli di Anagni e dell’Alta Ciociaria.
Arrivederci al prossimo anno, e da domani inizieremo a lavorare sulla nuova edizione grazie ad una effervescente Anna de Lellis, assessore ai prodotti locali, e alla ineccepibile macchina della Pro Loco di Anagni.